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Per essere spiriti liberi, ci vuole una certa disciplina

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martedì 13 novembre 2007

Livro do Desassossego por Bernardo Soares

Il mio libro preferito è anche l'unico libro che non ho mai finito di leggere.

Da quando l'ho aperto per la prima volta, non smetto di sfogliarlo e leggerne alcuni passi, sicuro che ne troverò uno che rispecchi il mio stato d'animo momentaneo. Chissà, forse perchè è facile immedesimarsi in Bernardo Soares, mentre dalla finestra di Rua dos Douradores osserva attentamente la vita scorrere ma ne rimane estraneo spettatore... ad un certo punto dice:

Da quando le ultime piogge hanno lasciato il cielo e si sono fermate in terra - cielo pulito, terra umida e tersa - la chiarità della vita che insieme all'azzurro è salita in alto, ha gioito in basso, ha lasciato un suo cielo nell'anima, una sua freschezza nel cuore.
Siamo, anche se non lo vogliamo, schiavi del momento, dei suoi colori e delle sue forme, sudditi del cielo e della terra. Perfino colui che più si rintana in se stesso, disdegnando ciò che lo circonda, non si rintana nello stesso modo quando piove o quando il cielo è sereno. Oscure mutazioni, forse avvertite solo nell'intimo dei sentimenti astratti, si verificano perchè piove o perchè ha smesso di piovere, si avvertono senza che le avvertiamo, perchè senza sentirlo abbiamo sentito il tempo.

Non so bene perchè non riesca a leggerlo come un libro normale - dall'inizio alla fine - ma penso che in fondo se il Livro do Desassossego è anche il libro che Fernando Pessoa non ha mai finito di scrivere un motivo ci sarà ...

3 commenti:

Anonimo ha detto...

..e allora facciamolo!
Sai cosa penso?
Parlare di te stesso con le persone che ti conoscono a volte è frustrante, soprattutto quando senti di provare e tenti di esprimere qualcosa di diverso dal (tuo) solito.
Le persone che ti conoscono, infatti, leggono e riportano tutto quello che dici ad un’idea che loro hanno di come sei, delle tue principali motivazioni, delle tue principali paure; spesso questo può essere confortante, ma altre volte, invece, senti che ti stanno sottraendo la possibilità di essere creativo su te stesso, così come la possibilità di attribuirti maggiori sfumature di sentimento di quelle che solitamente ti caratterizzano.
Come una prigione, che, nel segno dell’ambivalenza umana, a seconda delle esigenze contingenti, ti protegge o ti tiene in gabbia.
Può accadere che gli “appena conosciuti” ci dicano di noi più di quanto loro pensano e ci facciano sentire “a casa” più di quanto noi ci aspettiamo.

P.S.
una lettrice (sostenitrice) del blog.. ; )

P.S. 2
ora tocca a te! ;)

Daniele ha detto...

Quel che mi scrivi mi fa venire in mente un passo di Francesco Alberoni che non riesco a ritrovare.

Nel libro "L'amicizia" Alberoni dice che abbiamo moltissime più probabilità di incontrare nuove amicizie quando stiamo attraversando un momento di crisi, in cui siamo portati a mettere in discussione i nostri punti di vista ed il nostro modo di guardare il mondo, piuttosto che nei momenti di tranquillità, quando tendiamo invece ad essere conservativi e ci affidiamo molto di più ai nostri pregiudizi (intesi come certezze e metri di giudizio).

In fondo le situazioni mi sembrano parallele: le persone che ti conoscono sentono il rapporto con te come un qualcosa di conosciuto, amichevole e quindi tranquillo e per questo sono poco portate a mettere in discussione quello che pensano di te. Chi invece ti vede per la prima volta, deve per forza confrontarsi con te e vivere quel momento di incertezza ed autocritica che ciò implica: in questo modo gli è più facile essere aperto e ricettivo verso l'idea di te stesso che gli vuoi comunicare.

La somiglianza fra le due situazioni conduce alla seguente riflessione: per riuscire a comunicare una nuova sfumatura all'interno di una relazione ben consolidata, è forse necessario provocare una crisi ed obbligare le persone che ti conoscono a mettere da parte le loro certezze e considerare quello che dici senza pregiudizi.

clandestino ha detto...

uff.... francesco alberoni noooo! è di forza italia!!!!