"Lo guardai e mi domandai perché fosse lì. Ognuno dei presenti avrà avuto il suo motivo - chi per piacere, chi per moda, chi per seguire un comandamento divino - ma lui, lui che ci faceva stasera lì?
Pensai che avrebbe potuto passare la serata in molti modi piu piacevoli, che non lottando per distribuire un panino senza ricevere un solo ringraziamento.
Mi guardò come se avessi fatto una domanda ovvia e mi disse "lo faccio perché è giusto farlo".
Per essere spiriti liberi, ci vuole una certa disciplina
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mercoledì 19 maggio 2010
Il suo perché
martedì 24 novembre 2009
Sogno di una notte di mezzo autunno
Aveva parcheggiato l'auto leggermente in discesa e appena spento il motore era balzata fuori per abbracciarlo. Si erano baciati a lungo e lui aveva riconosciuto l'aroma delle gomme da masticare con cui provava a nascondere il sapore della sigaretta appena fumata. Lui in realtà ormai si era abituato a quella sensazione, ma non voleva dirle nulla, lo divertiva che lei si sentisse un pò in colpa, faceva parte dei loro piccoli giochi. Come quando lei lo prendeva in giro con la giocosa minaccia di mettersi gli orecchini. Gli piaceva che questa leggerezza rimanesse intatta nel tempo, pensò.
Il calore del suo corpo lo sottrasse da quei pensieri astratti, riportandolo al presente della serata che stava per iniziare. Lei indossava un abito scuro aderente che ne metteva in evidenza tutte le forme. Le spalle, ben proporzionate, erano scoperte, come a sfidare il freddo autunnale. Le gambe snelle fasciate dalle calze autoreggenti.
Aveva sempre avuto un debole per la bellezza femminile e la spontaneità con con cui la indossava lei lo sconvolgeva, gli sembrava completamente a suo agio con il proprio corpo.
Fu allora che lei disse "Come stai?". E il sogno ebbe inizio...
mercoledì 11 novembre 2009
Prima di incontrare lei
Prima di incontrare lei pensava di non aver mai conosciuto donne veramente intelligenti. Donne insomma che considerasse veramente al suo pari. Ed ecco tutt'a un tratto che lei lo surclassava e lo lasciava lì senza parole, annichilito.
giovedì 29 ottobre 2009
Le loro storie
Romeo arriva all'appuntamento con dieci minuti di ritardo, quando gli altri stanno già facendo capannelli per prendere i panini con le frittate. Anna come sempre se ne sta in disparte, ripetendo a voce alta che lei non ha bisogno di niente, che ha già mangiato e che gli altri sembrano delle bestie. Poi però quando non si sente osservata si avvicina sorniona ad uno dei volontari e chiede se per favore può avere qualcosa. Lo sussurra, ma niente passa inosservato e tutti hanno qualche storia da raccontare sugli altri: chi faceva la prostituta, chi è pazzo, chi ha il giubbotto foderato di soldi. Adesso Romeo ha iniziato a urlare che lui lei non la sopporta, chi si crede di essere la signora Anna per dire che lui non capisce niente? Al suo paese lui ha studiato, prima di venire in Italia, mentre lei sicuramente non sa nemmeno dove sia il Camerun. Lì vicino Fabio continua a dire che ha fretta, che lui non può aspettare insieme agli altri, perché l'ultimo treno per San Piero parte alle dieci meno venti. Poi però è sempre lì che gira, aspettando il momento dei dolci..
Sono i personaggi del martedì sera e ce ne sarebbero di storie da raccontare su di loro: è la prima cosa che ti viene in mente quando esci con la Ronda. Ti colpiscono questi autentici pezzi di umanità, le loro storie, e le vorresti scrivere per condividerle. Poi però ti rendi conto che in fondo sono loro, queste storie, e per alcuni sono l'unica cosa che hanno.
E scriverle è un pò rubargliele ..
giovedì 12 marzo 2009
La mia favola
Ognuno ha la sua favola. Questa è la mia:
"C'era una volta, in un paese lontano dove il sole era sempre caldo ed il Natale si festeggiava d'estate, una città di persone precise. Gli abitanti di quella città erano tutti commercianti o banchieri e passavano la totalità del loro tempo indaffarati in questioni assai serie: soldi, commerci, affari.
Marzuq era apprendista in uno dei negozi di tappeti più importanti della città e si occupava di consegnare la merce ai clienti, dopo che questi avevano passato intere giornate a bere te e trattare il prezzo con il proprietario del negozio. Una volta che l'accordo veniva raggiunto, Marzuq arrotolava con cura il tappeto scelto, lo incartava abbondantemente e se lo caricava in spalla. Poi percorreva le strade della città per consegnarlo a casa del cliente.
A volte il proprietario del negozio decideva di portarlo con se nei suoi viaggi di affari, visitando i villaggi delle montagne dove si producevano i tappeti migliori. I due partivano dalla città a cavallo ed a volte stavano fuori per settimane. La dove si fermavano, venivano accolti con rispetto e deferenza dagli artigiani locali, che conoscevano il commerciante di tappeti per la sua precisione e competenza. Trattare con lui era duro, ma alla fine degli incontri, quando una stretta di mano suggellava l'accordo, tutti erano soddisfatti: sia le consegne che i pagamenti sarebbero stati puntuali e regolari. In questi momenti Marzuq amava il suo lavoro, ammirava il proprietario del negozio e sognava di diventare un giorno come lui.
Anche il proprietario era contento di lui e sempre più spesso lo lasciava assistere alle trattative con i clienti, seduto a suo fianco davanti al vassoio del te. Il ragazzo prometteva bene e se avesse continuato a imparare da lui come si conduceva una trattativa, un giorno sarebbe diventato un ottimo venditore. Avrebbe smesso di occuparsi delle consegne per dedicarsi ai clienti e poi un giorno, quando lui fosse diventato troppo vecchio per reggere il peso del negozio, Marzuq sarebbe stato il suo erede.
Tutti sapevano infatti che il proprietario del negozio non aveva figli e che per questo aveva scelto quel ragazzo dagli occhi intelligenti come suo allievo e successore. Così come predetto dal suo nome, Marzuq era stato fortunato a trovare quel lavoro. Nella città delle persone precise, commerciare tappeti era una professione nobile a cui tutti aspiravano e possedere addirittura un negozio proprio avrebbe reso Marzuq una persona potente e rispettata.
Ma c'era una cosa che nessuno sapeva e cioè che non era questo il futuro che Marzuq sognava. Si, commerciare tappeti era un'arte che lo affascinava ed era attratto dalla sfida di diventarne maestro, ma allo stesso tempo sapeva che non lo avrebbe reso felice. Lui amava scrivere, tradurre in parole le tante sfumature che osservava nella natura umana. La parte del lavoro che preferiva era infatti proprio quella che gli permetteva di stare in mezzo alla gente, mentre attraversava strade e piazze per fare le sue consegne. Oppure esplorare terre lontane e conoscere la gente di fuori città, osservare con attenzione tutto quello che lo circondava e stupirsi della diversità. Ma tutto questo, nella città delle persone precise, era considerata una frivola perdita di tempo.
Eppure Marzuq non riusciva a togliersi lo scrivere dalla testa e da qualche tempo aveva anche preso l'abitudine di strappare piccole strisce dalla carta in cui avvolgeva i tappeti e cucirle insieme, per formare un piccolo quaderno, dove raccoglieva i suoi pensieri. Il fascino della natura, l'opera dell'uomo, ma soprattutto le persone, le persone che con i loro tanti aspetti non finivano mai di incuriosirlo.
Un giorno entrò nel negozio di tappeti un cliente nuovo... "
Ora non mi resta che trovargli il giusto finale ..
martedì 16 dicembre 2008
Carciofi azzurri
"Il fondo della piscina era di un azzurro soffice, a causa delle file di mattonelle che si ripetevano a intervalli precisi. Dieci file bianche ed una azzurra, con regolarità lungo tutta la vasca. Quella sensazione di colore diffuso lo tranquillizzava facendolo sentire, fra una bracciata e l'altra, come su un altro pianeta. La realtà della superficie sfumava nell'azzurro del fondo. E poi quel succedersi di forme geometriche, che si combinavano con il tempo scandito dalla respirazione, lo tranquillizzava. Mentre i polmoni si dilatavano per accogliere più aria possibile, la mente era concentrata sulla fine della corsia, l'orizzonte dello sforzo presente ed allo stesso tempo l'inizio del successivo.
Fu in tutto questo azzurro che realizzò improvvisamente, ed in maniera un pò inappropriata, l'immagine del carciofo, sentendosi in fondo in sintonia col faticoso vegetale. Un guscio duro da aprire con pazienza; un interno tenero che poco a poco si lascia spogliare della sua corazza protettiva. Si sentì carciofo, un carciofo sospeso nell'azzurro che lo circondava."
de tierno corazón
se vistió de guerrero,
erecta, construyó
una pequeña cúpula,
se mantuvo
impermeable
bajo
sus escamas,
a su lado
los vegetales locos
se encresparon,
se hicieron
zarcillos, espadañas,
bulbos conmovedores,
en el subsuelo
durmió la zanahoria
de bigotes rojos,
la viña
resecó los sarmientos
por donde sube el vino,
la col
se dedicó
a probarse faldas,
el orégano
a perfumar el mundo,
y la dulce
alcachofa
allí en el huerto,
vestida de guerrero,
bruñida
como una granada,
orgullosa,
y un día
una con otra
en grandes cestos
de mimbre, caminó
por el mercado
a realizar su sueño:
la milicia.
En hileras
nunca fue tan marcial
como en la feria,
los hombres
entre las legumbres
con sus camisas blancas
eran
mariscales
de las alcachofas,
las filas apretadas,
las voces de comando,
y la detonación
de una caja que cae,
pero
entonces
viene
María
con su cesto,
escoge
una alcachofa,
no le teme,
la examina, la observa
contra la luz como si fuera un huevo,
la compra,
la confunde
en su bolsa
con un par de zapatos,
con un repollo y una
botella
de vinagre
hasta
que entrando a la cocina
la sumerge en la olla.
Así termina
en paz
esta carrera
del vegetal armado
que se llama alcachofa,
luego
escama por escama
desvestimos
la delicia
y comemos
la pacífica pasta
de su corazón verde.
lunedì 24 novembre 2008
Piccolo mondo
Quella mattina di fine novembre, con il sole che creava una trama di ombre fredde sulla banchina della stazione, si rese conto che per troppo tempo aveva vissuto nel piccolo mondo di relazioni umane che si era creato. Era un territorio facile, che gli garantiva le piccole soddisfazioni necessarie a sentirsi vivo, senza mai obbligarlo al confronto con la realtà in lotta la fuori.
Improvvisamente, come il viaggiatore che esce da un lunga galleria e vede la luce dura illuminare le cose, sentì di avere la forza ed il tempo per quel confronto. E soprattutto la voglia. E la necessità.
martedì 7 ottobre 2008
Mappe
Stava lì a fissare la grande mappa del mondo che qualche anno prima aveva appeso al muro, proprio davanti al letto. Aveva scoperto di avere una curiosa passione per le mappe, un'istintiva simpatia per la geografia, tanto da essere capace di passare ore intere osservando i confini degli stati, l’intrecciarsi dei fiumi o i nomi delle capitali. Potersi svegliare la mattina e trovarsi davanti il mondo intero che lo guardava gli era sembrata una piccola conquista, anche se poco dopo averla raggiunta aveva lasciato quella casa e non aveva mai potuto goderne a pieno.
Quella sera stava cercando un angolino da esplorare, un rifugio dove ripararsi nelle prossime vacanze: pianificava di realizzare l’agognato viaggio in solitaria zaino-in-spalla che non aveva mai avuto il coraggio di intraprendere. Da quando si erano lasciati si sentiva quasi obbligato a realizzare i propri sogni nel cassetto. Alla fine - si diceva- l'aveva persa per questo, per volere inseguire le proprie chimere, perché pensava di sentire che questa era la sua strada e che provare a percorrerla fosse una tappa fondamentale della sua personale ricerca della felicità. Ora che lei non era altro che un dolce dolore, era il momento di lanciarsi, provare a saltare sempre più in alto per capire finalmente a che altezza mettere la propria asticella. Questa era una delle cose che, a caro prezzo, aveva imparato in quest'ultimo periodo in cui sentiva di esser cresciuto così tanto e così velocemente. Lo considerava l'ultimo dono che lei gli aveva fatto, forse il più importante, senza dubbio il più doloroso. Ci aveva riflettuto a lungo e ne era convinto, così come pensava di aver capito l'importanza di quella storia che era appena finita, ora come non mai, ora che era troppo tardi.
Grazie a questa sensazione di consapevolezza si sentiva sereno nella tempesta, perché sapeva essere una tempesta necessaria ed in fondo giusta, come lo sono tutte le esperienze naturalmente umane. Lei gli appariva così importante che la felicità di averla avuta quasi superava il dolore di averla persa. Era una sensazione strana, che non riusciva a spiegare e di cui probabilmente non avrebbe parlato con nessuno. Si sentiva strano in quel periodo. Poi rivolse di nuovo lo sguardo alla mappa e capì che era pronto a partire.
giovedì 2 ottobre 2008
Miguel y su bici
En esos últimos días Miguel había estado dividido entre el placer agridulce de los recuerdos y el conforto ligero de las novedades. Le parecía vivir como en una burbuja y no sabia bien por donde salir, ni por donde intentarlo. Aquella tarde, después de una jornada que habría sido muy positiva, si sólo le hubiera importado algo de las cosas del trabajo, había decidido coger su bici y relajarse subiendo la colina detrás de casa, que tanto le hablaba de su pasado.
Miguel se llamaba así por la inmensa pasión que su padre tuvo para el ciclismo y si a ese señor le hubiese gustado tanto el fútbol, pensaba Miguel a veces, ahora él se llamaría Diego. Sin embargo, quizás por la magia de aquel nombre o quizás por la pasión trasmitida por el padre, desde pequeño tuvo un don especial: cuando la vida le agobiaba, era capaz de coger su bici y desafiar el mundo. Podía llegar a cualquier sitio, encontrando dentro de sí fuerzas que no sospechaba tener, y cuando en fin se quedaba exhausto, también los agobios habían desaparecido.
Aquella tarde Miguel salió de casa pensado dar una vuelta rápida, pero poquito a poco le ganó la idea de llegar hasta la iglesia y ver el mundo desde allí. Y fue así que empezó a subir.
Primero pasó la casa de su primera novia, la de cuando tenia 14 años, la que nunca se olvida. Era una casa grande, en la que nunca había entrado y por eso la daba cierto temor. Todavía el camino era plano y no le costó mucho superarla.
Luego llegó a la casa de su amigo del colegio, con el que nunca había ido muy de acuerdo, y por eso quiso dejarla atrás rápidamente, aunque la subida se iba haciendo más y más empinada. Ahora Miguel subía lentamente, ganándole metros a la carretera con gran esfuerzo. Todavía le empujaba el orgullo de aquel desafió a sí mismo y la curiosidad de ver que había detrás de la siguiente curva. Puede que detrás de la curva haya un tramo más llano - pensaba Miguel - donde podré descansar un poco. Fue entonces que se dio cuenta que su vida siempre había sido un poco así, una incontenible y continua curiosidad de ver que había detrás de la próxima curva, sin conformarse nunca con lo que ya tenia. Quizás por eso, pensaba Miguel, había sido incapaz de evitar el fracaso de su relación.
La ultima casa conocida que encontró fue la de esa amiga que no veía hace muchísimo, desde que ella se había mudado a vivir a otra ciudad. Entonces la subida se hizo más empinada aún y Miguel vio claramente la imposibilidad de llegar hasta la iglesia. Cuando el sol desapareció definitivamente de la vista, puso un pie a tierra y declaró su fracaso: la iglesia estaba cerca, mas demasiado lejos para poderla alcanzar en bici.
Que está pasando, – se preguntó Miguel – por qué no consigo llegar a mi meta? Fue entonces que una idea revolucionaría empezó a tomar forma en su miente y lo que parecía imposible alcanzar en bici apareció muy fácil bajando de la bici y empezando a andar. En lugar que girar la bici hacia la bajada, Miguel empezó a empujarla hacia arriba, algo que nunca habría pensado tener que hacer. Rápidamente llegó a la iglesia.
Se había hecho de noche y desde la cumbre de la colina Miguel tuvo una vista nueva de su pasado. Aquella tarde había alcanzado su meta y vencido sus agobios sin tener que contar tan solo con su bici. Se sintió más ligero y sin darse cuenta empezó la bajada en la noche fresca..
martedì 30 settembre 2008
Una storia
Si era immaginato che svuotare quella stanza dopo tre anni sarebbe stato doloroso, ma non pensava che sarebbe arrivato a tanto. O forse il dolore gli sembrava sopportabile quando se lo prefigurava, ma si rivelò molto più acuto quando lo sentì farsi largo nello stomaco. Oppure, semplicemente, non era poi così forte come pensava di essere, e quel pomeriggio fu un altro soffertissimo passo verso la scoperta dei suoi limiti, un altro momento di crescita, un’altra dura lezione per il futuro, se si fosse dimostrato capace di elaborarlo senza provare a cancellarlo.
La cosa più dolorosa fu la vista delle cose di lei ed i ricordi che suscitavano. Non tanto - e questo fu un indizio importante per una riflessione che però non riuscì a completare - per i momenti felici passati insieme, che indubbiamente erano stati tanti, quanto piuttosto per l'idea delle speranze e delle illusioni che lei poteva aver cullato iniziando quest'avventura insieme; per la sensazione, improvvisamente così reale, dei suoi sforzi e dei suoi sacrifici, la cui intensità gli suggeriva la grandezza del fallimento. Un fallimento di cui lui era, o almeno in quel pomeriggio si sentiva di essere, fortemente responsabile. Sapeva, infatti, che gli sforzi ed i sacrifici c’erano stati da entrambe le parti, era razionalmente consapevole di ciò, eppure lo opprimeva la sensazione di responsabilità.
Davanti alle pareti ormai sguarnite della stanza, si immaginava fin nei dettagli le emozioni che lei aveva provato andandosene da quella casa, concretizzandole, materializzandole e ingigantendole, creando un dramma che probabilmente non era stato tanto intenso nemmeno per lei. O almeno così sperava. Si domandava, infine esausto, se dietro tutti questi pensieri si nascondesse la sua voglia di tornare da lei e dirle che aveva sbagliato o se, al contrario, era proprio questa sensazione di colpevolezza, questa tendenza all'auto accusa, una delle ragioni che avevano portato a questa situazione, spingendolo in passato a fare cose che, pur non volendo, si sentiva obbligato a fare.
Stava seduto sulla poltrona sotto la finestra, coperta frettolosamente da un vecchio lenzuolo pieno di nuvole, in una camera ormai semivuota, e si faceva queste domande, cercando di far passare il nodo che gli si era stretto intorno allo stomaco alla vista di tutti quegli oggetti. Che tristezza – pensava - la fine di una convivenza; che dolore riporre il passato comune nelle scatole di cartone ed allo stesso tempo riviverlo. Era una di quelle esperienze che non bisognerebbe vivere mai - pensava - ma era, in fondo, il riconoscimento dell'importanza della scelta di iniziare, che magari nella quotidianità dell'atto era passata sottotraccia.
Quel maledetto pomeriggio sentiva tutto il peso di chiudere una fase della vita non per andare avanti, come sarebbe stato naturale, ma per tornare indietro. Sentiva la fragilità della natura umana davanti al dolore, davanti alla realtà. Sentiva, quel maledetto pomeriggio, la chiara sensazione di essersi in fondo sbagliati. Lui questo passaggio se l’era perso, assorbito nei suoi progetti e concentrato su altri problemi, ma adesso lo viveva prepotentemente e si chiedeva se anche lei lo avesse vissuto, quando e come...