Si era immaginato che svuotare quella stanza dopo tre anni sarebbe stato doloroso, ma non pensava che sarebbe arrivato a tanto. O forse il dolore gli sembrava sopportabile quando se lo prefigurava, ma si rivelò molto più acuto quando lo sentì farsi largo nello stomaco. Oppure, semplicemente, non era poi così forte come pensava di essere, e quel pomeriggio fu un altro soffertissimo passo verso la scoperta dei suoi limiti, un altro momento di crescita, un’altra dura lezione per il futuro, se si fosse dimostrato capace di elaborarlo senza provare a cancellarlo.
La cosa più dolorosa fu la vista delle cose di lei ed i ricordi che suscitavano. Non tanto - e questo fu un indizio importante per una riflessione che però non riuscì a completare - per i momenti felici passati insieme, che indubbiamente erano stati tanti, quanto piuttosto per l'idea delle speranze e delle illusioni che lei poteva aver cullato iniziando quest'avventura insieme; per la sensazione, improvvisamente così reale, dei suoi sforzi e dei suoi sacrifici, la cui intensità gli suggeriva la grandezza del fallimento. Un fallimento di cui lui era, o almeno in quel pomeriggio si sentiva di essere, fortemente responsabile. Sapeva, infatti, che gli sforzi ed i sacrifici c’erano stati da entrambe le parti, era razionalmente consapevole di ciò, eppure lo opprimeva la sensazione di responsabilità.
Davanti alle pareti ormai sguarnite della stanza, si immaginava fin nei dettagli le emozioni che lei aveva provato andandosene da quella casa, concretizzandole, materializzandole e ingigantendole, creando un dramma che probabilmente non era stato tanto intenso nemmeno per lei. O almeno così sperava. Si domandava, infine esausto, se dietro tutti questi pensieri si nascondesse la sua voglia di tornare da lei e dirle che aveva sbagliato o se, al contrario, era proprio questa sensazione di colpevolezza, questa tendenza all'auto accusa, una delle ragioni che avevano portato a questa situazione, spingendolo in passato a fare cose che, pur non volendo, si sentiva obbligato a fare.
Stava seduto sulla poltrona sotto la finestra, coperta frettolosamente da un vecchio lenzuolo pieno di nuvole, in una camera ormai semivuota, e si faceva queste domande, cercando di far passare il nodo che gli si era stretto intorno allo stomaco alla vista di tutti quegli oggetti. Che tristezza – pensava - la fine di una convivenza; che dolore riporre il passato comune nelle scatole di cartone ed allo stesso tempo riviverlo. Era una di quelle esperienze che non bisognerebbe vivere mai - pensava - ma era, in fondo, il riconoscimento dell'importanza della scelta di iniziare, che magari nella quotidianità dell'atto era passata sottotraccia.
Quel maledetto pomeriggio sentiva tutto il peso di chiudere una fase della vita non per andare avanti, come sarebbe stato naturale, ma per tornare indietro. Sentiva la fragilità della natura umana davanti al dolore, davanti alla realtà. Sentiva, quel maledetto pomeriggio, la chiara sensazione di essersi in fondo sbagliati. Lui questo passaggio se l’era perso, assorbito nei suoi progetti e concentrato su altri problemi, ma adesso lo viveva prepotentemente e si chiedeva se anche lei lo avesse vissuto, quando e come...
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Per essere spiriti liberi, ci vuole una certa disciplina
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martedì 30 settembre 2008
Una storia
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1 commento:
che bella "storia".
un saluto daniele, da inquietudine a inquietudine
;)
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