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Per essere spiriti liberi, ci vuole una certa disciplina

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lunedì 14 luglio 2008

Frontiere



Le città di frontiera hanno un qualcosa che le accomuna, un viaggiatore distratto potrebbe perfino pensare che in fondo siano tutte simili fra loro.

Ogni persona che incontri sembra essere lì di passaggio, anche se non lì per caso. I negozi, gli alberghi, i bar offrono ristoro ad una clientela sfuggente, persone che sono in città col preciso scopo - o forse l'aspirazione, o forse solo il sogno - di passare la frontiera. C'è un senso di precarietà per le strade. La vita è segnata da una presenza invisibile e costante, quella linea invisibile, sia sotto forma di muro, di fiume o di semplice rete.

Ma c'è una frontiera che più di altre ha un significato simbolico, di divisione fra mondi, fra la promessa della felicità e lo spettro della povertà: sono i 3140 km che separano il Messico dal suo ingombrante vicino statunitense.

Oggi pomeriggio, per le strade afose e deserte di una domenica di Luglio a Laredo, mi vengono in mente le parole del bellissimo libro di Maruja Torres, "Amor America. Un viaggio sentimentale in America latina":

Dalla finestra dell'albergo, a Laredo, Texas, sulla sponda sicura della vita, spio i mulinelli sulla superficie del Rio Bravo e conto le piccole macchie nere che punteggiano la sue rive melmose. Sono i pneumatici di camion a cui si aggrappano - guidati da un esperto, un trafficante di uomini,
un coyote - quelli che tentano di oltrepassare la frontiera fluviale che li separa da un futuro immaginato migliore. Di fronte c'è il Messico. [..]
Li ho visti fuggire, per ricomparire poco dopo e provarci di nuovo, perchè entrare negli Stati Uniti rappresenta per molti la loro unica ragione di vita.
Quelli che superano il filtro e riescono a
raggiungere questa frontiera - ce ne sono altre ancor più battute, come quella di Tijuana - adesso sono lì, che sguazzano aggrappati ad una camera d'aria, o aspettano l'opportunità di farlo, nascosti tra i cespugli, con lo sguardo puntato da questa parte. Mi chiedo cosa vedano.
Il paradiso è questa sponda opposta, una teoria di edifici asettici e vetrine opulente. Ci sono grattacieli, fast food e chiese protestanti, con le loro guglie candide che si confondono tra loro verso il tramonto. Non c'è l'odore di tacos né di enchilada, l'aria non sa di piccante o di cipolla e, alle otto,
tutti sono già andati a letto, eccetto quelli che attraversano la frontiera in senso inverso, per approfittare, nelle bische di Nuevo Laredo, in Messico, di tutto ciò che i costumi di queste parti non vedono di buon occhio.

Laredo, come l'ho vista io oggi, percorrendo le strade deserte insieme a heymanwassup, appariva più o meno così:


Ma la calma aria estiva non mascherava completamente la sensazione di urgenza di chi, dall'altra parte del fiume, aspettava l'occasione buona per attraversare la frontiera.

4 commenti:

dancin' fool ha detto...

hai reso molto bene l'idea... e credo che gli "spazi" che ti circondano ne siano uno degli esempi "Più calzanti"

che effetto.

Daniele ha detto...

@Dancin'fool: passeggiare fra le pagine di un libro è una sensazione stimolante..

Simo ha detto...

Post molto suggestivo...per caso hai visto il film "Le tre sepolture"? Te lo consiglio, soprattutto dopo questo viaggio di frontiera...

Daniele ha detto...

@simo: no, non l'ho visto.. lo aggiungo alla lista!