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Per essere spiriti liberi, ci vuole una certa disciplina

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venerdì 30 gennaio 2009

Utimo giorno

Il nono giorno è l'ultimo giorno. E' domenica, usciamo in auto in una Istanbul ancora deserta.

Proviamo con il mercato del pesce di Maraba, ma la "piazzetta dai colori vivaci" è ancora spenta. Nella chiesa vicina la messa ha attirato cinque fedeli, ma uno seduto in fondo sta chiaramente dormendo. Una signoria ci invita ad entrare, gentilmente rifiutiamo e ci muoviamo verso il castello delle sette torri, un piccolo lampo turistico in questa mattinata lenta. Poi percorriamo le mura fino al vecchio ponte di Galata, glorioso relitto in attesa di una degna fine che ospita temporaneamente una stazione dei vigili del fuoco. Per spezzare la noia un gentilissimo pompiere ci fa entrare a fare qualche foto, ma la parte migliore della visita è senza dubbio la gentilezza di queste persone.Attraversiamo il fiume per visitare il museo dell'industria, un'isola moderna in questo mare di anacronismi, prima di tornare all'hotel attraversando di nuovo la città. Anche in auto ci sentiamo a nostro agio, è un vero peccato andarsene domani: una volta finito di vedere le "tappe obbligate", si inizia a godersi veramente l'esperienza.

Ultima cena ancora da Haci, ma ormai abbiamo abbandonato l'ottica turistica dei primi giorni e guardiamo divertiti la coppia di italiani del tavolo accanto che accettano i suggerimenti sul "menu del giorno". Dopo dieci giorni di ristoranti abbiamo maturato una specie di allergia alla ruffianeria dei camerieri ed un autentico senso di fastidio verso certi trucchetti.

Ciao Istanbul, ce ne andiamo con lo spirito con cui siamo arrivati, ce ne andiamo con "...lo stesso entusiasmo che prova un botanico, in un bosco, di fronte alla diversità e ricchezza delle piante, proprio per i molteplici aspetti della città, che ogni giorno produceva qualcosa di nuovo, una stranezza, una rovina o una follia, fra le sorprese dell'occidentalizzazione, dell'emigrazione e della storia". Orhan Pamuk, Istanbul

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